Suppongo che abbiate trovato strano, anche considerando la mia già scarsa produttività, che proprio nel periodo in cui questa maledetta terra santa era in prima pagina su tutti i giornali io non abbia scritto niente di niente. Il motivo principale è che mi sono ripromesso di aspettare la fine di questa faccenda prima di esprimermi. E ora che è giunto il momento mi ritrovo con tante (troppe?) cose da dire.
Ho quindi deciso di scrivere una "miniserie" di post riguardo l'attuale conflitto. Ognuno può essere letto come un argomento a se stante, ma costituiscono tanti tasselli di uno stesso puzzle. Almeno questi sono i miei grandiosi piani, staremo a vedere come va a finire.
Voglio iniziare con una riflessione che non riguarda direttamente la situazione presente; o meglio, che non riguarda solo la situazione presente. Quanto sto per scrivere serve a fare un passo indietro, allontanandosi dalle passioni del momento per cercare di capire la visione d'insieme. Parte da un'articolo che lessi quasi un'anno fa, intitolato "Fredde equazioni e il rischio morale". A chi mastica l'inglese consiglio vivissimamente di darvi un'occhiata, ma procederò ora a sintetizzarne comunque i punti salienti.
La discussione si basa sull'analisi di due storie di fantascienza che presentano un interessantissimo parallelo con la narrativa usata ogni giorno da politicanti e opinionisti vari per giustificare posizioni altrimenti inaccettabili.
Nella prima, intitolata appunto "Fredde equazioni", un'astronave viene inviata con un carico di medicine per salvare dei lontani esploratori in pericolo. Appena partito il pilota si rende conto che il carburante si sta consumando troppo rapidamente e dopo una breve indagine scopre un clandestino: la sorellina di uno degli esploratori, sentendone la mancanza, si è intrufolata a bordo. E qui le fredde equazioni entrano in gioco: se la bambina rimane a bordo il carburante non basterà per arrivare in tempo a destinazione, e gli esploratori moriranno tutti. Il pilota non può sacrificarsi, perché la navicella non può atterrare da sola, ed è costretto suo malgrado a spiegare alla sorellina in lacrime che dovrà essere gettata fuori dall'astronave e morire nello spazio.
Ma, come fa notare l'autore dell'articolo, non sono le equazioni che hanno condannato a morta la bambina, ma lo scrittore. Non si chiede infatti come mai la navicella non aveva una riserva di carburante, quali sistemi di sicurezza abbiano fallito allo spazioporto, perché non fosse stato installato un pilota automatico, come mai gli esploratori non avevano con se medicinali evidentemente già noti o quali misure di prevenzione non hanno rispettato per arrivare al contagio.
Tutti questi sono fattori umani che non hanno nulla a che vedere con le fredde equazioni della fisica.
Non c'è dubbio che, una volta arrivati alla situazione descritta, la bambina deve morire. Nell'emergenza contingente è l'unica decisione possibile, e il pilota che deve prenderla è una vittima quanto la bambina.
Ma dare la colpa di ciò alle fredde equazioni è una comoda soluzione per distogliere lo sguardo dalla lunga catena di errori e da chi li ha commessi.
E questa è la mia risposta alla domanda: "ci stanno sparando addosso, che cosa dovremmo fare?"
Il contro argomento di solito è che durante una situazione di emergenza bisogna agire e non mettersi a biasimare la gente.
Il che ci porta al secondo libro, "La proprietà dai Farnham", in cui si raccontano le vicende di un gruppo di sopravvissuti a una catastrofe nucleare grazie a un previdente capo di famiglia che ha installato un rifugio antiatomico in giardino. Senza soffermarci sulle vicende del gruppo o sulle varie "fredde equazioni" che hanno portato alla situazione in questione, l'autore dell'articolo si sofferma sul fatto che, ogni volta che si presenta una discussione fra i sopravvissuti, il capofamiglia imbraccia un fucile e invoca le "leggi da scialuppa". Vale a dire che in situazioni di emergenza, per il bene comune, le impraticità e lungaggini della democrazia vengono accantonate.
Sebbene ci sia un senso logico dietro questa strategia, esonerare i leader da critiche perché si sta affrontando una situazione di crisi li porterà a ricercare di essere sempre in tale situazione, in modo da avere meno restrizioni alla loro libertà d'azione.
Il fatto che io abbia usato la parola crisi non è casuale.
Trovo queste considerazioni molto interessanti in generale per comprendere alcuni possibili vizi e rischi della politica e comprendere il cui prodest di molti eventi e conseguenti decisione, ma dilungherò solo un altro momento per rendere più esplicite alcune conseguenze di questi principi sulla situazione in medio-oriente.
Molte delle discussioni sulle azioni dell'esercito israeliano trovano contrapposte due fazioni: una empatizza con la sofferenza che le azioni militari provocano nella situazione palestinese, mentre l'altra puntualizza la triste necessità delle azioni intraprese. (sto assumendo che sia un dialogo fra persone civili e informate)
Per tornare alla nostra storia si potrebbero quindi paragonare i civili palestinesi alla bambina e i soldati israeliani al pilota. Le fredde equazioni sarebbero la presenza di forze estremiste fra la popolazione palestinese.
La prima considerazione che vorrei fare è che sia il pilota che la bambina sono vittime. La disumanizzazione del nemico è alla basa di ogni guerra sia fisica che ideologica, ed è una cosa che mi sento in dovere di combattere sempre e comunque. Così come è vergognoso (anche se psicologicamente comprensibile) che alcune radio israeliane si siano rifiutate di mandare in onda uno spot pacifista in cui si elencavano i nomi dei morti a Gaza, trovo altrettanto sbagliato mettersi a boicottare una marca di shampoo perché cerca di migliorare la vita delle soldatesse.
Un altra considerazione da fare è che ci sono casi in cui effettivamente la bambina va gettata fuori bordo. In questi case è fondamentale riflettere il più a lungo possibile e il più approfonditamente possibile su come si sia arrivati a questo punto e come fare per evitarlo in futuro. Ma comunque arrivati a un certo punto va gettata.
La considerazione più importante però è che, se ci ricordiamo, le fredde equazioni, o in questo caso i terroristi, non sono il vero problema. Il vero problema è chi trae vantaggio dalla situazione di emergenza. La risposta purtroppo è: chiunque abbia potere da queste parti.
Il governo israeliano può contare sul ritrovato appoggio della popolazione a ogni crisi, qualunque cazzata abbia fatto prima. Abbiamo vissuto vent'anni con berlusconi che vinceva elezioni su elezioni invocando lo spauracchio dei comunisti, immaginate come abbiano vita facile qui. Palese esempio di emergenza prolungata è la Cisgiordania, dove i tribunali militari provvisori sono in piedi da quarant'anni. Dall'altro lato i vantaggi non sono minori: i leader palestinesi intascano miliardi su miliardi di aiuti e se ne viaggiano in jet in Qatar mentre la loro gente muore a centinaia. I paesi arabi limitrofi non danno accoglienza dignitosa ai profughi Palestinesi, che ormai hanno costruito le proprie case letteralmente sul palmo di terra in cui la loro tenda era piantata, in modo che il problema resti vivo e loro ne possano trarre vantaggio politico.
La morale è: se ti trovi troppo spesso su una scialuppa, inizia a chiederti se il comandante non abbia qualcosa a che fare con l'affondamento della nave.